La manifestazione di Slow Food e Regione Liguria
al Porto Antico di Genova dal 9 al 12 maggio
Strategia Marina: la plastica è il nemico numero 1 dei nostri mari con 179.023 particelle plastiche per km quadrato e l’80% dei rifiuti spiaggiati
Una straordinaria ricerca - presentata a Slow Fish - che per la prima volta monitora secondo le direttive dell’Ue i mari italiani:
un punto di partenza per delineare le future politiche
Oggi,
durante la prima giornata di Slow Fish (l’evento biennale di Slow Food
dedicato ai mari e alla pesca a Genova fino a domenica 12), sono stati
presentati i primi dati raccolti dal Ministero dell’Ambiente e della
tutela del territorio e del mare, in collaborazione con ISPRA e le 15
ARPA costiere sullo stato complessivo dei mari italiani. L’analisi
rientra nelle misure da mettere in atto dopo il recepimento della
Direttiva quadro 2008/56/CE sulla strategia per l’ambiente marino, che
si basa su un approccio integrato e intende diventare il pilastro
ambientale della futura politica marittima dell’Unione europea. «Si
tratta di un vero e proprio punto zero» commenta Irene Di Girolamo, referente ambiente marino dell’ufficio del sottosegretario di Stato all’Ambiente on. Salvatore Micillo.
«I dati sono il risultato dell’analisi condotta dal 2015 al 2017 e
costituiscono la fotografia dello stato attuale del nostro mare. Al
termine del secondo ciclo di analisi, nel 2021, potremo fare un
confronto preciso e capire se le prime misure messe in atto hanno dato i
loro frutti e se la strada intrapresa è quella giusta». Come previsto
dalla direttiva, infatti, ogni Paese deve ora stabilire un programma di
azioni concrete per raggiungere gli obiettivi europei, e l’Italia ha
iniziato proprio dalle azioni volte a sensibilizzare il pubblico sul
tema dei rifiuti.
I principali risultati della ricerca: le specie aliene e i rifiuti
Specie aliene
Al
2018 sono state calcolate 263 specie non indigene nelle acque italiane,
di cui il 68% ha stabilito popolazioni stabili lungo le nostre coste.
«Questo dato ci dice che la bioinvasione nel Mediterraneo è in costante
aumento e, per quanto riguarda le specie provenienti dal Mar Rosso, il
cambiamento climatico ha avuto un effetto determinante, sia attraverso
la modifica delle correnti, che hanno consentito l’arrivo di queste
specie dai mari orientali, sia rendendo l’ambiente più favorevole a
specie tropicali» aggiunge Franco Andaloro, esponente del Comitato scientifico di Slow Fish.
«Quindi se da un lato si riducono le specie introdotte volontariamente
dall’uomo con l’acquacoltura, dall’altro aumenta la migrazione di quelle
che arrivano attraverso il canale di Suez. La conservazione
dell’ambiente è essenziale in quanto si è evidenziato che le specie
aliene sono meno presenti in ambienti sani e protetti». Un tema, questo,
analizzato anche all’interno del programma di Slow Fish, dove cuochi e
pescatori si confrontano e raccontano come stanno cercando di
trasformare un problema in una risorsa. «È infatti importante un loro
utilizzo alimentare per limitarne la diffusione», conclude Andaloro.
Rifiuti
Grazie al monitoraggio effettuato e presentato oggi
a Genova, è possibile avere una prima base di riferimento sulla
quantità dei rifiuti marini. Tra le aree, monitorate due volte l’anno,
troviamo le spiagge, le stazioni di profondità, la superficie marina e
gli esemplari di tartarughe spiaggiate e successivamente analizzate. «Ne
emerge un quadro significativo» commenta Silvio Greco, presidente del Comitato scientifico di Slow Fish.
«Con una media di 777 rifiuti spiaggiati ogni 100 metri lineari. La
plastica - incluse bottiglie, sacchetti, cassette in polistirolo, lenze
da pesca in nylon - emerge come il materiale più abbondante con una
percentuale dell’80%». Tra i 10 e gli 800 metri di profondità la media
degli oggetti per km quadrato passa da 66 e 99: anche qui la plastica è
il materiale predominante con il 77%, rappresentata da buste, involucri
per alimenti e attrezzi da pesca.
«Significativa
soprattutto la densità dei microrifiuti plastici inferiori ai 5 mm
ritrovati sulla superficie marina, che è di 179.023 particelle per km
quadrato» continua Greco. «Questo ci fa riflettere soprattutto
sull’incuria che abbiamo avuto nei confronti del mare in passato, perché
queste particelle sono il risultato della frammentazione di tutto ciò
che abbiamo gettato indiscriminatamente pensando che il mare fosse la
nostra discarica naturale». Basti pensare infatti che i tempi di
degradazione in mare per le bottiglie di plastica sono stimati in
500-1000 anni, mentre passiamo a 20-30 per i bastoncini cotonati e a
10-20 anni per le buste di plastica.
Rifiuti,
lo sappiamo, che hanno conseguenze sullo stato della biodiversità
marina, pesci e tartarughe in primis. Dall’analisi di 150 esemplari di
tartarughe Caretta caretta spiaggiate è emerso che il 68% presentava
plastica ingerita.
«Diversamente
da quanto atteso, l’80% dei rifiuti plastici spiaggiati censiti nelle
spiagge risulta derivare dai fiumi, mentre il 20% è scaricato
direttamente in mare. Dato, questo, che dovrebbe farci riflettere in
merito al fatto che la cura dei mari comincia dai nostri comportamenti a
terra» continua Greco. «Insomma,
da questi dati emerge un quadro sicuramente da tenere sotto controllo:
alcune aree risultano più contaminate di altre, ma si tratta di un punto
di partenza fondamentale per muovere i prossimi passi» conclude Irene
Di Girolamo.
La Strategia Marina
Il
17 giugno 2008 il Parlamento Europeo e il Consiglio dell’Unione Europea
hanno emanato la Direttiva quadro 2008/56/CE sulla strategia per
l’ambiente marino, successivamente recepita in Italia con il d.lgs. n.
190 del 13 ottobre 2010. La Direttiva pone come obiettivo agli Stati
membri di raggiungere entro il 2020 il buono stato ambientale (GES,
“Good Environmental Status”) per le proprie acque marine. Ogni Stato
deve quindi mettere in atto, per ogni regione o sottoregione marina, una
strategia che consta di una “fase di preparazione” e di un “programma
di misure”. La Direttiva quadro stabilisce che gli Stati membri
elaborino una strategia marina che si basi su una valutazione iniziale,
sulla definizione del buono stato ambientale, sull’individuazione dei
traguardi ambientali e sull’istituzione di programmi di monitoraggio.
Gli Stati devono redigere un programma di misure concrete diretto al
raggiungimento dei suddetti obiettivi. Tali misure devono essere
elaborate tenendo conto delle conseguenze che avranno sul piano
economico e sociale.
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