lunedì 24 febbraio 2014

Onde giganti: come nascono le montagne d’acqua.

Le onde giganti, nella maggior parte dei casi sono il risultato del lungo viaggio compiuto dalla massa d’acqua spinta dal vento attraverso l’oceano. L’incontro con il fondo del mare fa crescere l’altezza e genera mostri simili.  

Gli tsunami sono una cosa diversa. Tsunami significa in giapponese “onda nel porto”. Si tratta dell’evento più estremo a cui una comunità costiera può assistere e i suoi effetti rimangono tangibili per molti anni. Conosciuto anche in Mediterraneo già ai tempi della Grecia classica è stato descritto da Platone nel Timeo, dove la fine della civiltà di Atlantide viene attribuita a un forte terremoto causa delle onde che la sommersero. I maremoti sono fenomeni di natura strettamente geologica e hanno origine in seguito a movimenti della crosta terrestre o ad altri fenomeni che prevedano la cessione di energia dalla Terra agli oceani. Frane dunque, come quella che si è verificata a Stromboli, intensi sismi come il più recente che ha coinvolto l’Oceano Indiano, oppure, ipotesi questa meno frequente, impatto di corpi dallo spazio sulla superficie marina.
La caduta di meteoriti, per quanto possa apparire come un evento piuttosto improbabile, rimane una delle possibili responsabili di una catastrofe naturale in grado di cambiare il volto del pianeta. 
L’onda di maremoto è qualche cosa di molto simile alle onde che si generano sulla superficie di uno stagno quando vi viene lanciata una pietra. Quando il corpo colpisce la superficie dell’acqua avviene una cessione di energia dal sasso all’acqua circostante. Questo trasferimento mette in moto una massa d’acqua tanto più grande quanto maggiori sono le dimensioni del corpo.
Avviene così la formazione di onde che si propagano radialmente, cioè come una serie di circonferenze concentriche, ad altissima velocità. Dato che la distanza da una cresta all’altra è estremamente lunga, nell’ordine delle centinaia di metri, fintanto che le onde si spostano in acque profonde la loro percezione può essere difficoltosa se non attraverso precisi sistemi di misura; è solo nel momento in cui il fondo marino fa sentire la sua presenza che, per effetto di attrito, la lunghezza d’onda si riduce generando sulle regioni costiere gli effetti devastanti ai quali abbiamo recentemente assistito. Proprio a seguito di fatti come questi, in alcune aree del globo particolarmente colpite dal fenomeno, sono stati messi in opera, già da diversi anni, sistemi di monitoraggio che consentano, attraverso un minimo preavviso, di far evacuare le zone costiere maggiormente esposte. Alle isole Hawai, gli tsunami sono un fatto concreto, e per poter convivere con questi devastanti fenomeni naturali il governo statunitense ha disposto una rete di boe oceanografiche che consentono di monitorare l’attività sismica sul fondale oceanico fornendo indicazioni sulla possibilità di formazione delle onde di maremoto. Anche i sistemi di monitoraggio però hanno le loro limitazioni: se infatti forniscono un certo preavviso nel caso di attività sismica, poco possono nel caso di onde anomale associate a frane o impatti. In tal senso l’unica strategia possibile anche se non di facile attuazione è quella della protezione costiera attraverso il mantenimento della flora locale: le mangrovie ad esempio sono in grado di ridurre notevolmente gli effetti delle onde anomale sulla costa, ed evitando di costruire insediamenti abitativi in aree ad alto rischio. 
Per quanto riguarda la realtà mediterranea, come dimostra un recente studio, nemmeno le coste del mare nostrum , sono esenti dal rischi tsunami. Solo per citare i fatti più recenti, negli ultimi anni si sono sviluppate onde anomale presso le isole Baleari, ed in prossimità dell’isola di Stromboli a seguito ad una frana nelle acque tirreniche.

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